In un’epoca in cui ogni attività online viene misurata — dalle visualizzazioni ai click, fino ai lead generati — le metriche di marketing digitale sono diventate la bussola di aziende e marketer.
Ma cosa succede quando quelle stesse metriche, invece di guidare, iniziano a ingannare?
È qui che entra in gioco la Legge di Goodhart, una delle regole più citate in economia e oggi sempre più attuale anche nel digitale. Comprenderla è fondamentale per costruire strategie di marketing basate sui dati che portino davvero valore e non si fermino ai cosiddetti “vanity metrics”.
Origini della Legge di Goodhart
La Legge di Goodhart prende il nome dall’economista britannico Charles Goodhart, che nel 1975, in un documento per la Banca d’Inghilterra, scrisse:
“When a measure becomes a target, it ceases to be a good measure.”
(“Quando una misura diventa un obiettivo, smette di essere una buona misura.”)
Il contesto era quello delle politiche economiche: gli indicatori usati per monitorare l’andamento dell’economia funzionavano bene come strumenti di analisi, ma nel momento in cui diventavano “target ufficiali” da raggiungere, i mercati e le banche modificavano il proprio comportamento per ottenerli, rendendoli così inutili come misure affidabili.
In sintesi, se un numero diventa il traguardo, le persone trovano modi per manipolarlo, anche a scapito del valore reale che dovrebbe rappresentare.
Esempi quotidiani
- Scuola: se la misura è il voto, gli studenti studiano per superare l’esame, non per imparare davvero.
- Azienda: se il KPI è il numero di email inviate, il team marketing aumenterà le spedizioni, anche se irrilevanti per i clienti.
- Sanità: se l’obiettivo è ridurre i tempi di attesa al pronto soccorso, si rischia di dimettere i pazienti troppo presto pur di abbassare la media.
La Legge di Goodhart nell’era dei social media
Con Facebook, Instagram, TikTok e le altre piattaforme, la legge si manifesta in modo lampante.
Gli indicatori di performance diventano facilmente bersagli da “ottimizzare”:
- Like e reaction: se contano solo i like, si producono contenuti superficiali, meme o titoli clickbait.
- Follower: se l’obiettivo è la crescita del numero, proliferano pratiche artificiali come acquisto di follower o scambi “follow for follow”.
- Visualizzazioni: se l’indicatore è il numero di view, si spingono video brevi e sensazionalistici, anche se non educano né rafforzano il brand.
In tutti questi casi, la metrica cresce, ma il valore reale (fiducia, engagement autentico, vendite) cala.
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Implicazioni per il marketing digitale
Nel marketing digitale, la Legge di Goodhart mette in guardia da un errore comune: confondere le vanity metrics con risultati reali.
- Un brand può vantarsi di avere 100.000 follower, ma se nessuno interagisce o acquista, quell’indicatore è vuoto.
- Una campagna può generare un CTR elevato, ma se il prodotto non viene acquistato, il “successo” è solo apparente.
- Un eCommerce può aumentare gli ordini con promozioni aggressive, ma se il margine cala e i clienti non tornano, il business peggiora.
Come comportarsi di conseguenza
Se le metriche rischiano di tradirci, allora la chiave è impostare sistemi di misurazione e obiettivi che restino significativi.
1. Scegli KPI che riflettano il vero valore
Non fermarti a ciò che è più facile contare.
Social: meglio misurare il tasso di interazione che i like.
eCommerce: conta di più il margine medio e la retention che il numero grezzo di ordini.
Chiediti sempre: questa metrica rappresenta davvero un comportamento di valore per cliente e azienda?
2. Definisci obiettivi di lungo periodo
Gli incentivi guidano i comportamenti.
Invece di puntare solo alla crescita dei follower, lavora su obiettivi come “aumentare gli iscritti qualificati alla newsletter” o “incrementare i clienti ricorrenti”.
Così si creano contenuti e strategie che rafforzano il business, non solo i numeri.
3. Combina numeri e qualità
I dati quantitativi devono essere affiancati da indicatori qualitativi.
Esempio eCommerce: tasso di conversione + recensioni clienti.
Esempio social: reach + qualità delle conversazioni nei commenti.
In questo modo distingui la quantità apparente dalla qualità reale.
4. Attenzione agli incentivi interni
La Legge di Goodhart vale anche nelle organizzazioni.
Se premi il team marketing solo per i lead generati, troverai un CRM pieno di contatti inutili.
Se guardi solo al costo per click, rischi di attrarre traffico irrilevante.
Meglio sistemi di valutazione bilanciati: non solo “lead generati”, ma “lead qualificati che diventano clienti”.
5. Usa una “north star metric”
Le aziende di successo scelgono una metrica guida che racchiude il vero valore per il cliente:
- Airbnb: notti prenotate.
- Facebook (all’inizio): utenti attivi giornalieri.
- eCommerce: percentuale di clienti che acquistano almeno due volte in 90 giorni.
La north star metric fa da bussola e impedisce di disperdersi dietro ai vanity metrics.
6. Adatta le metriche al ciclo di vita dell’azienda
Le metriche devono maturare insieme al business.
All’inizio conta far crescere la base utenti.
Più avanti diventano cruciali retention, LTV (Customer Lifetime Value) e soddisfazione del cliente.
Misurare sempre allo stesso modo porta a visioni distorte.
7. Costruisci sistemi di metriche bilanciate
La chiave non è eliminare le metriche, ma costruire un sistema equilibrato.
Per ogni indicatore, affiancane uno che ne bilanci i limiti:
- Volume ↔ Qualità: al numero di lead affianca la percentuale di lead qualificati.
- Breve termine ↔ Lungo termine: alle vendite immediate affianca la retention o il customer lifetime value.
- Interno ↔ Cliente: ai tempi di risposta del customer care affianca la soddisfazione percepita dal cliente (NPS, recensioni).
Un approccio strutturato è quello della Balanced Scorecard, sviluppata da Kaplan e Norton negli anni ’90: una metodologia che invita a misurare le performance in modo integrato, bilanciando prospettive finanziarie, operative, di apprendimento e soprattutto di impatto sul cliente.
In pratica, significa combinare lagging indicators (quelli che misurano risultati già avvenuti, come fatturato o vendite) con leading indicators (quelli che predicono la performance futura, come il tasso di adozione di una nuova funzionalità, o il numero di clienti che si iscrivono a una demo).
Così facendo, si riducono gli effetti distorsivi descritti dalla Legge di Goodhart e si mantiene un quadro più realistico e orientato alla crescita sostenibile.
Conclusione
La Legge di Goodhart ci ricorda che le metriche sono strumenti, non obiettivi ciechi. Nel marketing digitale, dove siamo sommersi di dashboard e numeri, è facile cadere nella trappola dei “vanity metrics”.
Ma crescere davvero significa misurare ciò che conta: relazioni autentiche, clienti soddisfatti, risultati concreti di business.
In altre parole: non ottimizzare ciò che è più facile contare, ma ciò che genera valore reale.
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